Da, “IL TEMPO” , 21 marzo 1976

Chi non conosce Giorgio de Chirico? Con la sua aria distratta è facile incontrarlo sulla tarda mattinata, mentre cammina per via dei Condotti o piazza di Spagna, si ravvia il ciuffo bianco dei serici capelli dalla fronte, e assume, di fronte a qualche seccatore, quell’aria fintamente corrucciata, come quella di un bambino messo in castigo. E chi vuol parlare con il Maestro, tra il futile e lo scherzoso, può incontrarlo ogni giorno al Caffè Greco. Si siede in un angolo tutto solo, ordina un aperitivo, due patatine, un po’ di olivette e lì comincia a sgranocchiare, ad osservare, tra l’ironico e il divertito, il via vai della gente, e accetta di buon grado le richieste di autografo, soprattutto da parte degli stranieri di passaggio.

Nato in Grecia nel 1888 da padre siciliano (un nobile che si era dedicato all’ingegneria, ed era andato in Grecia a costruire strade ferrate) e da madre genovese, de Chirico ha vissuto la sua giovinezza nelle grandi capitali europee. Pittore di fama mondiale, uno dei più grandi pittori viventi, se non il più grande, Accademico di Francia, Giorgio de Chirico compirà tra poco ottant’otto anni; lavora ogni giorno dalle quattro alle cinque ore, non usa gli occhiali da vista, cammina agile e spedito, e soprattutto non manca ancora di sbalordire.

Maestro, per prima cosa vorrei premettere che cercherò di non farle le solite domande che lei tanto detesta: e cioè se a lei piace Picasso, la pittura cosiddetta moderna, cosa pensa dei surrealisti, se ha conosciuto Apollinaire, se le piace la Grecia, oppure se ritornerebbe volentieri a Volos in Tessaglia (dove lei è nato il 10 luglio 1888), perché so benissimo che lei, con molta ironia, cercherebbe di nascondersi o nella battuta spiritosa o nel “segreto professionale”. Lei oggi è uno dei più famosi e popolari pittori del mondo (ricordo ad Atene lo affollarsi di gente anche la più semplice per chiederle un autografo), lei è entrato recentemente a far parte dell’Accademia di Francia, quindi mi bastano poche risposte. Cominciamo con il lavoro che sta facendo in questi ultimi tempi. Lei ha ripreso alcuni temi e soggetti che aveva dipinto agli inizi della sua avventura di artista, temi e soggetti che però lei adesso interpreta in modo nuovo, con nuovi elementiscenografici. Ci vuol parlare di queste sue visioni? Lei, una volta, mi disse che di mattina, all’alba nel dormiveglia, ha delle visioni particolari, cioè intravede quasi in trance figure e scenari che poi riporterà sulla tela. Vuol spiegare meglio?

Da alcuni anni dipingo soggetti che sono, come una evoluzione di visioni, apparenze e sensi reconditi di quei soggetti che ho eseguito prima, per molti anni, e che sono “i manichini seduti”, tipo “Gli archeologi”, ed i manichini in piedi, tipo “Il Trovatore” ed “Ettore e Andromaca”. Queste nuove ispirazioni, o visioni, che dir si voglia, si basano su vari elementi, fisici e metafisici. Gli elementi fisici sono una maggior chiarezza nella tonalità generale del dipinto, e l’uso del nero, più abbondante di quanto lo usassi prima. Ho sempre avuto un particolare interesse per il colore nero. Tintoretto diceva che il nero è un colore che nobilita gli altri colori ed io condivido pienamente l’opinione del Maestro veneziano. Inoltre ho sempre pensato che una parete completamente nera sarebbe il fondo ideale per un quadro poiché su tale parete tutti i valori plastici e pittorici dell’opera risulterebbero nella loro massima intensità. Ma, naturalmente, non è facile persuadere un gallerista, un collezionista, o il direttore di un museo, ad esporre dei quadri su pareti perfettamente nere. Queste visioni dei quadri da me dipinti da alcuni anni mi si presentano in vari modi. A volte in stato di perfetta coscienza, guardando, magari, un quadro della mia produzione precedente, e pensando: “Ecco, quel personaggio potrebbe essere molto più chiaro di colore, la camera dove si trovano i personaggi potrebbe pure essere di una tonalità più chiara e sulla parete di destra ci potrebbe essere una finestra, o un vano, dal quale si scorgerebbe un po’ di cielo, con delle nubi, e qualche edificio di una città immaginaria”. A volte, anche, queste visioni dei quadri degli ultimi anni mi si presentano di notte, non proprio in sogno, ma in quello stato di semincoscienza che precede il sogno. Alcuni degli ultimi soggetti dei “Bagni misteriosi” mi sono appunto apparsi in questo stato di semisogno. Questo fenomeno del soggetto d’un dipinto, di un disegno, di un’incisione che appare all’artista in uno stato di incoscienza o semincoscienza, non possono dire di aver la certezza che altri artisti, moderni o antichi, lo abbiano avuto. Ho solo delle intuizioni: ad esempio tra gli antichi Maestri l’unico che mi dia l’impressione di aver sentito questo fenomeno è Alberto Dürer; del resto egli ha eseguito un disegno che lui stesso definisce come il ricordo di un sogno e che raffigura delle nubi, o, piuttosto, il fumo di un’esplosione, facendo un po’ pensare alla esplosione di una bomba atomica. In questo caso il disegno di Dürer sarebbe anche profetico.

Parliamo ora del problema dei falsi. So che per lei è una delle questioni più spinose e dolorose. In questi ultimi tempi infatti i carabinieri hanno scoperto numerosi falsari di quadri, una gran quantità di opere falsificate, e gli autori presi di mira sono i più noti pittori del novecento, tra cui lei. Ci vuol dire, una volta per tutte, che cosa pensa di questa storia dei falsi?

Prima cosa: quando affermavo che in Italia il mercato d’arte era pieno di falsi, molte persone andavano dicendo che erano mie invenzioni, mie fantasie. Adesso che i giornali quasi ogni giorno, e la televisione, riportano continuamente notizie e foto di sequestri di centinaia di quadri falsi, anche le persone più sprovvedute dovrebbero rendersi conto di quanto poco fantasiose fossero le mie affermazioni. Seconda cosa: penso che sarebbe veramente giunto il momento, per le autorità governative, di proteggere i cittadini dalle truffe facendo finalmente una legge efficace, perché quella che esiste è completamente insufficiente. La migliore prova che questa legge (varata nel 1971) è inefficace è data dal fatto che il mercato continua più che mai ad essere sommerso dai quadri falsi. In Italia gli artisti non sono assolutamente protetti e tutelati. Si direbbe quasi che i signori falsari siano ben visti, dando al nostro Paese veramente una fama poco gloriosa.

Lei, Maestro, ha vissuto in molte grandi città europee. Monaco, Atene, Parigi, Venezia, Firenze, ed ora abita a Roma, a piazza di Spagna: dalla finestra del suo studio si vede uno dei panorami più belli del mondo, le cupole della Roma barocca, Trinità dei Monti, Villa Medici. Lei vive bene a Roma?

Certo. Se Roma non mi piacesse andrei via, fuggirei. Mi piace abitare a piazza si Spagna e sa perché?, perché ogni giorno, sulla tarda mattinata, faccio quattro passi per le vie del centro, vado a prendere l’aperitivo al caffè Greco, a via dei Condotti, dove incontro vecchi e nuovi amici. Il pomeriggio lavoro, tre-quattro ore, tutti i giorni, e la sera, qualche volta, con mia moglie Isa andiamo a mangiare fuori, in locali del centro dove si mangia bene e si è serviti altrettanto bene. A me piace stare con gli amici in città, sono una persona socievole e gentile, non mi piacciono le lunghe gite, come si usa ora, in campagna o ai monti, ci si stanca con la macchina. Quando c’è qualche bella giornata vado ad Ostia, sì ad Ostia, mi piace, per passeggiare, vedere gente, la gente mi piace, contemplare il mare. Mi piace Roma e ci vivo bene.

Lei Maestro, è anche poeta, e gran parte delle sue poesie sono tuttora inedite; ma nel 1929 ha scritto un libro che rimane tra i migliori della letteratura surrealista Ebdomero, che è un romanzo poetico e fantastico. Adesso sta scrivendo un libro di cui si conosce piuttosto poco, si sa solo il titolo, “Le avventure del signor Dudron”. Il signor Dudron, al contrario di “Ebdomero”, è un personaggio quieto, casalingo, borghese, riflessivo, è un personaggio che gira per la città, e altri luoghi, osserva la gente, gli avvenimenti, li giudica, li sopporta e li ironizza. Dalla dimensione poetica di Ebdomero siamo passati alla dimensione prosastica e prosaica del signor Dudron. Insomma, questo signor Dudron è de Chirico, come de Chirico era Ebdomero? E’ lei che osserva, giudica e ironizza su luoghi e persone?

Certo, sempre Giorgio de Chirico, la colpa è sempre sua. Sì, sono tanti capitoletti, senza una trama precisa, sono cose che si svolgono una dopo l’altra, ma sempre senza un nesso logico, e il signor Dudron osserva, critica, si stupisce, c’è insomma un po’ di tutto, un po’ di amaro, un po’ di dolce. Lei, caro Simongini, dice che non parlo, invece, vede, qualcosa dico. E’ contento?

Franco Simongini