E’ da molto tempo che su giornali e riviste si va ripetendo che Giorgio de Chirico ha un carattere duro e sprezzante, è, insomma, una persona antipatica, scostante. Sono state scritte tante cose su Giorgio de Chirico, il più grande pittore italiano vivente (e certamente con Picasso l’ultimo vero genio della pittura, un artista che tutto il mondo c’invidia) eppure in Italia, libri, giornali, gazzette, hanno sempre dato e continuano a dare un’immagine falsa, deformata, faziosa di Giorgio de Chirico, l’unico personaggio dell’arte italiana (e non solo dell’arte) ad avere oggi una popolarità mondiale. Ho seguito ultimamente il Maestro in diversi viaggi in Italia e all’estero, per realizzare un lungo documentario a colori sulla sua vita e la sua opera per conto della televisione italiana; ebbene sia a Parigi, sia a Venezia, e soprattutto in Grecia, ad Atene, ho potuto constatare quanto vasta e simpatica sia la popolarità di Giorgio de Chirico, una continua, inarrestabile richiesta di autografi, e da persone di ogni nazionalità (africana, asiatica, persino ragazzi americani e australiani) e lui sempre paziente, gentile, nell’intimo soddisfatto (“oggi è andata male, ho firmato pochi autografi” dice scherzando quando rimane chiuso in casa) a fare dediche chiedendo nome e cognome al suo ammiratore ed in particolare con le donne, verso cui de Chirico ha un comportamento da vero gentiluomo ottocentesco, premuroso, cavalleresco, delicato, (“sono l’uomo più gentile d’Europa” ripete il Maestro a chi lo ringrazia per la sua cortesia). Giorgio de Chirico si definisce infatti (con quella sua aria perennemente sorpresa, ironica, paradossale, stupefatta, infantile) un uomo positivo, raffinato, cortese, amante degli animali, della buona tavola, (più di come è imbandita che degli alimenti veri e propri), di tutte le cose buone e belle. “Purtroppo, dice, le cose belle vanno scomparendo, impera il cattivo gusto, la mediocrità, lo snobismo stupido”.

Ama i ristoranti di un certo tono, dove i camerieri siano rispettosi e servano prontamente, non gradisce quindi i locali caratteristici, le hostarie, i ritrovi rumorosi e volgari (“e quante volte – mi dice – devo sopportare inviti e chilometri di macchina per andare in un posto campestre ed essere servito da cane e non mangiare niente, ma che vuole, c’è la mania della scampagnata” mi dice stupefatto).

Giorgio de Chirico infatti non sa resistere alle insistenze degli altri, è troppo timido e gentile per dire di no a chi lo ossequia, comunque mangia poco e preferisce, tra tutto, una buona minestra e il dolce (è ghiotto di crostate, budini, gelati al cioccolato), mangia poco la carne e non gli piacciono per niente l’anguria e il melone, mentre gradisce molto l’uva, e non beve vino o liquori, solo acqua naturale (“i camerieri mi mettono sempre in imbarazzo, facendomi assaggiare il vino, ma non ne capisco niente, e per non offenderli dico sempre che è ottimo”). De Chirico è pigro, e se non fosse per l’attivismo, l’energia, l’efficienza della moglie Isabella Far (“la donna più intelligente che ho conosciuto” afferma il maestro) lui se ne starebbe nel meraviglioso studio, bene assolato e silenzioso, di Piazza di Spagna 31 a Roma, sotto la famosa scalinata, a lavorare, facendo una breve passeggiata a mezzogiorno fino al caffè Greco di Via dei Condotti per l’aperitivo (il Punt e Mes è quasi un rito per de Chirico, lo beve con poco ghiaccio prima di ogni pasto). Anche quando è fuori Roma, in albergo, trascorre gran parte del tempo seduto in poltrona nella hall a disegnare e prendere appunti in un taccuino che porta sempre in tasca, per nulla disturbato dalla gente e dalle orchestrine che suonano motivi allegri solo per lui (al Danieli di Venezia, addirittura gli hanno dedicato una canzone). E’ un gran lavoratore, dipinge tutti i giorni, mattina e pomeriggio, a casa e fuori casa (“il mio unico divertimento è lavorare” dice). Fino a qualche anno fa si preparava i colori da solo, è stato sempre un accanito sperimentatore di tecniche e grande studioso della pittura antica, la qualità propriamente pittorica. Avvicinato con garbo, serietà ed intelligenza, rispetta il lavoro altrui e si sottopone a qualsiasi seccatura, come a Venezia che si è assoggettato a salire in una gondola, con il mare mosso nella laguna, per farsi riprendere dal fotografo di Annabella e dalla TV, mentre noi eravamo col batticuore per lui e cominciavamo a sentire l’incipiente mar di mare e lui, Giorgio de Chirico, felice, sereno, ci sorrideva, faceva l’occhiolino, come se fosse andato sempre per mare aperto fra le onde e i flutti (e invece so che il mare gli dà fastidio e preferisce viaggiare in aereo).

Giorgio de Chirico, a ottantaquattro anni suonati, non porta occhiali né da vista né da sole, legge e dipinge rapidamente, con scioltezza (sui giornali legge solo i titoli e ama poco andare al cinema), fuma la pipa (sigari toscani sgretolati sulla mano, ma non lo dice a nessuno, è un suo segreto), ha una bellissima scrittura, chiara, tondeggiante,  precisa, ama la musica, in particolare l’opera lirica, cammina spedito e ogni tanto tira fuori un pettinino dal taschino e tira su, da parte, la famosa ciocca bianca, stringe le labbra e corruccia il volto, ma per poco, anche quando è di cattivo umore non lo fa trasparire e cerca di scherzare e sorridere: gli piace guardare la televisione, il telegiornale, e le commedie brillanti, non troppo drammatiche e porta appesi ad una catena d’oro (che dalla cinta va fino alla tasca dei pantaloni) una serie di amuleti d’oro e d’argento, contro blicato poco, all’infuori dello straordinario “Edbomeros”, scritto in francese e uscito a Parigi nel 1929 (il capolavoro della letteratura surrealista); ora sta scrivendo un nuovo romanzo dal titolo emblematico “Il Signor Dudron”, inedito e non finito, e scrive anche poesie, quasi tutte inedite (“ci sono persino delle false poesie, in giro” afferma il Maestro malizioso). E’ nato a Volos, in Grecia, in Tessaglia, il 10 luglio 1888, ma non vuole che qualcuno gli rammenti l’età o festeggi compleanni, e per scaramanzia evita il più delle volta di mettere date sui quadri, non vuole datarli, “eppoi io sono un pittore mica un filatelico!” dice il Maestro quando i critici s’interessano più alle date che al quadro: figlio dell’ingegnere barone Evaristo de Chirico (un gentiluomo d’origine siciliana che per spirito d’avventura era andato in Grecia a costruire ferrovie) e della Signora Gemma,

genovese, fino a diciassette anni ha vissuto in Grecia, tra Volos e Atene (egli tuttora comprende e parla il greco moderno) e dopo la morte del padre, con la madre e il fratello Alberto si trasferì prima a Monaco e poi a Parigi, mentre in Italia ha lavorato a Ferrara, Firenze, Milano, è stato in America ma la città che ama di più è Roma. Dalla professione paterna è facile dedurre la passione del figlio Giorgio per i trenini, le squadre, i righelli, i compassi, le carte geografiche (tutta la mitologia dei suoi grandi quadri metafisici) ma dal padre, Giorgio de Chirico (che lui ricorda sempre con tanto rimpianto, tenerezza e rispetto) egli apprezzava soprattutto la lealtà, il coraggio, l’intelligenza, la bontà e “come molti uomini dell’ottocento – dice il Maestro – aveva diverse capacità e virtù: era bravissimo come ingegnere, aveva una bellissima scrittura, disegnava, aveva orecchio per la musica, era osservatore e ironico, odiava l’ingiustizia amava gli animali, trattava altezzosamente i ricchi e i potenti, ed era sempre pronto a difendere e aiutare i più deboli e i più poveri; e ciò per dire che mio padre – continua il Maestro – come molti uomini del suo tempo era proprio il contrario della maggior parte degli uomini di oggi, che mancano di senso positivo e di ogni temperamento, sono inabili e incapaci, per nulla cavallereschi, molto opportunisti, ed hanno il cervello pieno di asinerie”.

E a conoscerlo più a fondo (ma come si fa a conoscere Giorgio de Chirico, lui che nega sempre, che si diverte, che si trincera dietro l’ironia, la battuta, il paradosso, la finzione?), forse si scopre che de Chirico ha sempre cercato in tutti i modi di avvicinarsi all’ideale paterno ed è questo il suo fascino di uomo, la sua “diversità”, in questo mondo volgare e interessato di oggi.

Se si domanda al Maestro, con tono ufficiale, sbrigativo, freddo, da intervista giornalistica,  così tra due piedi, (ecco l’errore che fanno i suoi intervistatori, di prenderlo a freddo, quasi di ripicca) che cosa è stata la Grecia per lui, de Chirico risponde che in Grecia c’è nato e basta e cha ha dipinto cavalli su sfondo di templi e ruderi dell’antichità classica così per caso, al posto dei ruderi avrebbe potuto dipingere cavoli, fiori, che la Grecia, i miti, sono tutte balle dei critici, degli intellettuali, eccetera. Ma poi, preso per il verso giusto, nel modo più civile, egli diventa affabile e confidenziale e può raccontare alcuni episodi della sua infanzia in Grecia, come quando, ad esempio, faceva, con bella carta colorata, gli aquiloni a Volos e i ragazzacci tessali, per invidia verso di lui, volevano abbatterlo a sassate oppure quando andava a pescare con la madre, il fratellino Alberto (il futuro poeta-musicista-scrittore Alberto

Savino), e “le partite di pesca erano per me una gran gioia, e tutti quegli spettacoli di eccezionale bellezza che vidi in Grecia da fanciullo e che sono stati i più belli che io abbia visto finora nella mia vita, m’impressionarono così profondamente, mi rimasero così potentemente impressi nell’animo e nel pensiero; e grande verità – afferma de Chirico – contengono le parole del pittore greco dell’ottocento Nicolaos Ghisis quando egli dice: “non posso dipingere la Grecia così bella quanto l’immagino”.

Giorgio de Chirico è un timido, un introverso, pieno di timore e di scrupoli, egocentrico come tutti i grandi artisti, gli piace posare, concedersi le piccole vanità, fingersi avaro però non vuole scoprirsi, anzi per mascherare quello che veramente pensa e crede deve sbalordire (è pur sempre vissuto nella giovinezza nel clima della Parigi surrealista, lui padre della metafisica e del surrealismo) ma non vuole aprire i segreti del suo cuore, e poi ci ha detto tutto di sé nei suoi quadri, i suoi amori, dolori, angosce, i quadri, la sua opera è un libro aperto per comprendere l’anima dell’uomo de Chirico, soltanto che la gente non vuole pensare e giudica senza conoscere. Il fatto è che i giornali hanno sempre riferito le sue battute, i suoi paradossi, i suoi giudizi senza fare cenno al tono, al momento, al significato di certe parole, il più delle volte il personaggio de Chirico è venuto fuori sgradevole e irritato proprio perché aggredito, violentato nella sua calma e nella sua intimità, addirittura provocato a casa sua, come se lui, Giorgio de Chirico, fosse un personaggio da sfottere (“ma la colpa è di de Chirico – afferma perentoria la moglie Isabella Far – perché egli pretende di scherzare, di fare l’humor in un paese come l’Italia dove tutto è preso sul serio e grottescamente deformato, l’ironia la leggerezza qui non esistono, in Francia è un’altra cosa…”). D’altra parte come tacere su questo grande Maestro, che già negli anni venti, a Parigi, aveva sbalordito e conquistato personaggi e poeti del calibro di Apollinaire, Eluard (che ha dedicato a de Chirico una splendida poesia), Breton, Cocteau, i quali gridavano di aver scoperto in lui il genio del secolo, inquietante e sconvolgente. In Italia Giorgio de Chirico non ha avuto altro che polemiche, critiche e nemmeno un premio, una onorificenza, un riconoscimento qualsiasi a lui che ha reso famosa la pittura contemporanea nel mondo, nessuna grande mostra organizzata dal governo italiano, che continua a ignorare, attraverso i suoi pubblici funzionari (che poi si fanno in quattro a mettere su con i soldi dello Stato mostre su mostre ad artisti stranieri): sembra strano, assurdo, ma de Chirico ama starsene isolato, senza agganci o amicizie politiche, un uomo libero che avvicina e frequenta solo chi gli è simpatico, senza opportunismi, dipinge o lavora e con l’aiuto, l’ingegno e la tenacia della moglie, de Chirico ha organizzato splendidi cataloghi e splendide mostre in ogni parte del mondo. L’Italia ufficiale non fa nulla per questo genio della pittura italiana (guardate quello che ha fatto la Francia per lo spagnolo Picasso o il russo Chagall) ma de Chirico si è già conquistato con la sua grande opera l’immortalità nell’Olimpo dell’arte, perché come ha scritto qualche anno fa di se stesso: “per non pensare a tante amoralità e stupidità come a tanti orrori io sempre cerco rifugio nel lavoro ed in quel sacro tempio ove due dee si tengono per mano: la vera Poesia e la vera Pittura”.

Franco Simongini,

1972